Caetano Veloso: omaggio a Federico e Giulietta (1999)

http://www.youtube.com/watch?v=2sXBxC0zwVs

niente da dire su questo splendido album molto italiano, solo un consiglio: ascoltatelo. Se non avete la possibilità di comprarlo, scaricate da qui degli mp3

vi lascio il brano del video tradotto, “Patrícia”…avete sentito il tormentone dell’estate felliniana, le ballate in spiaggia. sapete qual è il film di riferimento?

voglio, voglio essere chiamata tesoro

voglio, voglio dimenticarmi delle cose spiacevoli

sogno, sogno di come si ha fortuna nella vita

sogno, sogno di come l’amore è delizioso

 

dimmi che sono la bella Patrizia

sempre a risvegliare folli passioni

dimmi che i miei occhi quando guardano sanno anche essere maliziosi

che col mio sorriso provocante io seduco i cuori

 

ma so bene di essere triste Patrizia

con l’anima piena di amarezza

e ancora sto ad aspettare qualcuno, un sincero amore

 

qui i testi in lingua originale

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La Lotta è Allegria (Homens da Luta)

abbiamo parlato già della nuova musica portoghese. dei Deolinda e degli Homens da Luta che addirittura hanno vinto il festival di sanremo portoghese e adesso andranno a suonare all’eurofestival. non è musica complicata e non ha la pretesa di esserlo: è puro intervento, è la strada, la piazza e un grido collettivo di un piccolo paese della provincia europea.

in basso, dopo il videoclip ufficiale,  vi ho tradotto il testo del brano vincitore “la lotta è allegria”.

 

LA LOTTA È ALLEGRIA (Homens da Luta)

A volte ti fanno reprimere
a volte ti fanno perdere la fiducia
a volte ti prendono all’improvviso
a volte ti danno a che sperare

di notte o giorno, la lotta è allegria
e il popolo avanza per strada gridando

è inutile ridurre le spese
è inutile piagnucolare
è inutile un perenne clima teso
non serve la rabbia come sostento

di notte o giorno, la lotta è allegria
e il popolo avanza per strada gridando

e porta il pane e porta il formaggio e porta il vino
e vedi il vecchio e vedi il giovane, vedi il bambino
e porta il pane e porta il formaggio e porta il vino
e vedi il vecchio e vedi il giovane, vedi il bambino

non manca chi ti dice “stai attento”
non manca chi ti invita a stare zitto
non manca chi ti lascia diffidente
non manca chi ti vende l’aria intorno

di notte o giorno, la lotta è allegria
e il popolo avanza per strada gridando

e porta il pane e porta il formaggio e porta il vino
e vedi il vecchio e vedi il giovane, vedi il bambino
e porta il pane e porta il formaggio e porta il vino
e vedi il vecchio e vedi il giovane, vedi il bambino

vieni a festeggiare questo momento e andiamo a cantare contro il malcontento
vieni a festeggiare questo momento e andiamo a cantare contro il malcontento
vieni a festeggiare questo momento e andiamo a cantare contro il malcontento

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pomodori Garofalo in Portogallo 2

vi ricordate delle lattine di pelati Garofalo acquistate in Portogallo, pubblicizzate come “confezionate con pomodori italiani” ma invece prodotte in Portogallo?

esiste anche la versione prodotta in Italia, con una etichetta nera e di migliore qualità

 


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Guerra in Libia. Quali costi e conseguenze? di Carlo Ruta

I motivi possibili di un attacco, presentato ancora una volta come umanitario, che minaccia di tradursi in un disastro di lungo periodo, alle porte di una Europa che rischia di pagare un conto elevatissimo.

di Carlo Ruta

 

In Libia è partita una guerra, che i governi dell’Occidente e gran parte dei mezzi d’informazione presentano ancora una volta come umanitaria. Di cosa si tratta realmente? Per comprendere quanto sia credibile tale motivo, è utile partire da un paio di dati storici recenti. Israele alcuni anni fa ha pianificato e attuato in Palestina una operazione che ha denominato con coerenza «piombo fuso». L’esito è stato di qualche migliaio di morti, quasi tutti civili. Ma nessuno ha minacciato una guerra «umanitaria». Nessuno si è guardato bene dal metterla in opera, come nessuno si era esposto a tanto già nella precedente operazione «Pace in Galilea», dagli esiti analoghi. Altro caso istruttivo è quello dello sterminio delle popolazioni cecene pianificato e attuato da circa venti anni dai governi della Russia, prima con Eltsin poi con Putin. Si tratta per certi versi di una guerra infinita, che ha provocato centinaia di migliaia di morti, in massima parte civili. Fino ad oggi nessuno Stato ha invocato però l’avvio di guerre «umanitarie». Nella Libia di Gheddafi tale tipo di azione, in difesa dei diritti delle popolazioni, è stata invece voluta risolutamente dalle nazioni forti dell’Occidente, su input degli Stati Uniti e con la convalida del consiglio di sicurezza dell’ONU. A quali costi, in termini di vite umane?

 

In Libia è in atto una virulenta repressione di regime, che in un mese ha fatto centinaia di morti, forse qualche migliaio. Ma l’attacco «umanitario» promette di tradursi in una ecatombe, con numeri di vittime di molto superiori. Gli strateghi della Nato e del Pentagono sono troppo avvertiti per non mettere nel conto esiti di questo tipo, trattandosi di disarticolare una forza militare che, allo stato delle cose, non è di poco conto. Non solo. È prevedibile che occorra neutralizzare le reti militari non convenzionali, anche queste non indifferenti, costituite anzitutto dalle unità terroristiche e mercenarie del regime di Gheddafi. E, come testimoniano le casistiche belliche degli ultimi decenni, se si intende centrare quest’ultimo obiettivo, le stragi di civili, dette comunemente «effetti collaterali», tanto più difficilmente saranno evitabili. Nelle prime fasi della guerra preventiva in Iraq, per eliminare cellule del regime deposto, i comandi americani non hanno esitato a pianificare a Baghdad la distruzione di interi isolati in cui risultavano annidate, con l’uccisione di tutti i civili che li abitavano. E, come attestano numerose cronache, tale regola non scritta ha funzionato e vige ancora in Afghanistan.

 

Le guerre «umanitarie» hanno avuto fino ad oggi un decorso istruttivo. Se ne ricordano due recenti, per certi versi emblematiche: quella in Somalia, nel 1992-93, e quella in Kosovo del 1999. La prima, un po’ per convincimenti strategici errati, un po’ per imperizia dei comandi sul terreno, è degenerata presto in una carneficina «umanitaria» che ha raggiunto l’acme nella battaglia del Checkpoint del 2 luglio 1993, chiusasi, secondo fonti ufficiose, con centinaia di morti civili. Le folle somale, di cui si facevano scudo i miliziani di Aidid e di altre fazioni, hanno saldato poi il conto, con stragi dei «benefattori» occidentali. Infine questi ultimi, resisi conto della palude in cui erano sprofondati, con un nemico che finiva con il combaciare in tutto e per tutto con l’intera popolazione, hanno dovuto uscirsene, lasciando una situazione tragica. Ancora oggi la Somalia, come il Darfur, costituisce una terra di nessuno, in ostaggio ai signori della guerra, ai pirati e alle reti islamiche. La «guerra umanitaria» del Kosovo, condotta dalla Nato, non è stata da meno. È stata scatenata per impedire le stragi etniche di Milosevic, che avevano prodotto alcune centinaia di morti. Si è verificato però un inconveniente. Le stragi di civili compiute dagli alleati atlantici, note appunto come effetti collaterali, hanno superato di gran lunga quei numeri. Sono state fatte stime di decine di migliaia di morti. Non solo. È stato certificato che i medesimi hanno fatto impiego, per fini offensivi, di uranio impoverito, con effetti dannosi sulle popolazioni che insistono ancora oggi. Infine una nota ugualmente tragica. Come ha dovuto riconoscere di recente la stessa Unione Europea, il Kosovo, sottratto con la forza a Milosevic e riconosciuto di recente come paese sovrano, costituisce il primo narco-Stato d’Europa, sotto l’egida di un personale tipicamente criminale. Questo paese, incuneato nel centro esatto del continente, tra Oriente e Occidente, suggerisce altresì norme di comportamento ai paesi contigui, come l’Albania, invasa anch’essa dall’eroina e finita intanto, come altri paesi, alle soglie del default.

 

Sul terreno, le guerre «umanitarie» presentano in definitiva un saldo negativo. Restano poi un affare complesso, e dai contenuti vaghi. Anche quella del Vietnam, da cui sono scaturiti circa 3 milioni di morti, di cui i due terzi civili, è stata giustificata alla vigilia dello scatenamento come tale. E si è oltre il paradosso. È legittimo allora un interrogativo: escludendo la guerra, si sarebbe potuto adottare altro mezzo per soccorrere le popolazioni colpite dal regime di Gheddafi? Si direbbe di sì. L’Onu avrebbe potuto deliberare, per esempio, una soluzione pacifica e realmente umanitaria, come quella adottata nell’ultimo mezzo secolo in numerosi casi, dal Libano al Ruanda, dalla Bosnia all’Ossezia. Avrebbe potuto sancire, in particolare, l’impiego, per quanto possibile, di una forza d’interposizione tra le parti in conflitto, tale da fare scudo anzitutto sulle popolazioni, propedeutica altresì a un possibile cessate il fuoco. L’inaffidabilità del Raìs è evidentemente un aspetto che non può essere minimizzato. Ma si sarebbe potuto tentare. Un contributo forte sarebbe potuto venire poi dalle regioni interessate. l’Unione Africana, l’organizzazione sovranazionale cui fanno riferimento tutti i paesi africani ad esclusione del Marocco, ha assunto una posizione netta, contraria all’attacco militare degli Usa e di altri paesi forti dell’Occidente. Si candidava in questo modo a intervenire sulla vicenda, in modo autonomo, sul piano diplomatico e non solo. Ma, a dispetto della decolonizzazione, la parola del continente nero non ha contato praticamente nulla.

 

La decisione bellica era già presa? È quanto sembrano suggerire, tra l’altro, i deficit operativi della vigilia. Dopo la risoluzione dell’Onu sarebbe dovuto ripartire, con perentorietà, il pressing diplomatico dei governi, per indurre il dittatore libico a fare dei passi indietro, se non addirittura a riporre il potere nelle mani del popolo. Ma, saltando a piè pari le prassi più coerenti con il motivo umanitario, è scattato l’attacco dopo poche ore. Cosa ha sollecitato allora gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra e altri paesi europei a questa guerra, che si annuncia appunto più sanguinosa di quanto sia stata fino a oggi la repressione di Gheddafi? Il bottino del petrolio e dei gas naturali costituisce un buon movente, per le problematiche energetiche chi investono i paesi più industrializzati. La situazione sembra presentare tuttavia aspetti più compositi. Di primo acchito, la crisi del Maghreb, che ha fatto aumentare di molto il prezzo del greggio, ha generato apprensione nei governi europei che per decenni, in un quadro di stabilità strategica, avevano fatto affari con i regimi di Ben Ali, Mubarak e Gheddafi. Passata però la concitazione delle prime settimane, nei medesimi ambienti sono andate manifestandosi logiche di vario genere, incluse quelle di livello egemonico. I fatti del Nord Africa, da quel che è emerso dalle cronache, non sembrano invece aver colto di sorpresa la Casa Bianca e il Pentagono, che sin da subito hanno mostrato l’intenzione di intervenire sui processi in atto. Ma per quali scopi?

 

A prescindere da tutto, l’arroccamento degli Stati Uniti in Libia, anche a costi di vite umane elevatissimi, come in Afghanistan e in Iraq, suggerisce un disegno strategico oltre che economico, di controllo dell’area, atto a impedire, verosimilmente, che nei paesi interessati dalla rivolta popolare, dal Maghreb al Medio Oriente, possano prevalere nel medio periodo politiche antiamericane. E tale linea, adottata in tutte le regioni del globo, appare compatibile con le mire degli Stati europei interventisti. La Francia governata da Sarcozy, finita negli ultimi anni zero dietro l’Italia per Prodotto interno lordo, tanto più attirata quindi dalle risorse energetiche del Nord Africa, e non solo, ha motivi per rinegoziare il proprio ruolo di potenza. L’Italia di Berlusconi, come ostentano le testate governative, ritiene che l’adesione al conflitto sia un passo necessario, per poter contare in Europa e far valere il settimo posto tra le potenze industriali del globo. L’Inghilterra di Cameron, che ha registrato nel biennio 2008-2009 un vero e proprio crollo del Pil, da cui non riemergerà facilmente, ha buoni motivi per ampliare i propri interessi economici nel Nord Africa e, soprattutto, in chiave geopolitica, per riprendere quota lungo la regione mediterranea, dopo oltre cinquanta anni dall’umiliazione di Suez. Ma forse, come è accaduto in Iraq e in Afghanistan, tali convitati, pur destinati a vincere in poco tempo la guerra convenzionale, hanno fatto male i conti. La presa di distanza della Germania di Angela Merkel appare al riguardo significativa, come in Italia la dissociazione della Lega di Bossi, che pure partecipa al governo. In definitiva, si vorrebbe stabilizzare l’area sotto l’egida delle potenze occidentali, ma l’esito potrebbe essere quello di un disordine lungo e tragico, alle porte dell’Europa, e, forse, dentro l’Europa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’Angola si prepara alla rivoluzione. Arrestato Rapper

UPDATE 2: terminata la manifestazione contro il governo, liberati giornalisti e il rapper Brigadeiro Mata Frakuzx

UPDATE: sono stati arrestati circa 20 manifestanti, tra cui alcuni giornalisti.

Anche l’Angola si prepara alla rivolta. Giorno 7 marzo è stato arresto un rapper a Luanda.

Ho saputo di questa vicenda grazie alla pagina FB degli Homens da Luta, di cui abbiamo già parlato e di cui mi sembra giusto aprire una parentesi.

Gli Homens da Luta la scorsa settimana hanno vinto il festival della canzone portoghese, questo gli da’ diritto a rappresentare il Portogallo all’Eurofestival. Al momento ci sono delle polemiche, pare che alcuni personaggi si stanno impegnando per boicottare la partecipazione degli Homens.

Il festival della canzone portoghese è il festival nazionale organizzato e trasmesso dalla RTP (come la RAI in Italia), un festival della canzone dove gli Homens da Luta sembra non c’entrino niente, ma diventati così popolari da essere votati dal pubblico e vincere.

Questo innovativo e geniale gruppo sta diventando scomodo. Se da una parte sono ormai famosi come parodia dei movimenti degli anni settanta, dall’altra la parodia sta prendendo il sopravvento, i personaggi apparentemente inventati, vivono adesso autonomamente e le parole dedicate alla rivoluzione si fanno sempre più forti ed amplificate da un paese che sentiva il bisogno di essere rappresentato in modo innovativo.

Torneremo a parlare degli Homens, ma adesso vi traduco quello che dice il rapper Brigadeiro Mata Frakuzx sul palco del Cine Atlantico a Luanda, prima di essere arrestato dopo qualche giorno (sotto il video in Portoghese). Parla esplicitamente del presidente Angolano

governo figlio di puttana, io sono un kamikaze, perché deve essere così?

perché parlare di loro deve essere una minaccia per la vita?

Signor Danilo, se vai a parlare con il tuo papà, digli che non lo vogliamo più qui

32 anni sono molti, fino a quando ancora con questo schifo della politica di intimidazione

se parlate vi dicono di tornare zitti a casa. Guarda bene tuo fratello, tuo zio, tuo padre, pensa bene, attenzione! Io so dove vivete.

perché? Uno ha dato la sua opinione e Zé Du gli ha detto che deve morire, censurando il suono e l’opinione di un frustrato, un frustrato di questa situazione.

Signor Dino Matross, signor Virgilio de Fontes Pereira: andatevene tutti affanculo!

Paulo Flores ha inventato questo slogan: esploratori dell’oppressione, andate via!

E il primo è il signor Dino Matross che minaccia la popolazione

-esploratori dell’oppressione, andate via!-

Dino Matross, Virgilio Pereira, Zé Du, via! Cazzo!

Attenzione, voglio vedere giorno 7 chi è il puro rivoltoso, di giorno 7 già abbiamo sentito parlare.

Se arriviamo fino a lì (srotolano lo striscione per leggere la frase scritta).

La scritta dice: -zio Zé (Peppe), togli il piede. Il tuo tempo è finito da un sacco di tempo-

piazza Indipendenza, giorno 7 è il nostro giorno. La Libia sta riuscendo a far cadere Gheddafi. Zé Du rimarrà un ricordo del passato, non lo vogliamo più.

Portate solamente pentole, non portate bandiere di partito per favore, faremo casino con pentole e vuvuzelas ma niente bandiere di partito, nessuno vuole di mezzo i partiti, grazie

le scritte finali recitano:

unisciti alla lotta per l’indipendenza totale dell’Angola, dalle fauci del dittatore José Eduardo dos Santos e la sua feccia

 

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