Adorno, una parte di “dissonanze”

[…] Più avanti si obietta che la libertà dell’artista è già in se stessa ideologia, e che proprio i capolavori autentici sono in un certo senso sempre nati sotto il controllo sociale, per la volontà di un commissionario o sotto l’imposizione del mercato: ma questo è un sofisma. Anche se le cose fossero veramente sempre andate così male, questo non giustificherebbe di dover mantenere coscientemente in vita ciò che è falso e cattivo. Inoltre questa obiezione vela differenze sostanziali: la cerchia limitata dei commissionari feudali avanzava almeno la pretesa della competenza, riconoscendo così l’indipendenza dell’artista inteso come artigiano che “ha un mestiere in mano”; il mercato anonimo del periodo borghese, poi, ha lasciato all’artista uno spazio sufficiente per deviare dalla linea, onorando addirittura questa deviazione come suggello di genialità.

Invece la minacciosa ordinanza commissariale è incomparabilmente meno conciliabile con le buone intenzioni dell’artista di quanto non lo fosse l’ingerenza del conte che insisteva per l’uso dei corni naturali, o il successo di un’opera della tradizione italiana alla sua prima esecuzione, in cui il compositore e l’ascoltatore non se l’intendevano poi tanto male. L’indiscutibile elemento dell’apparenza nella libertà artistica non legittima l’intenzione di scacciare dall’arte tutto ciò che richiama gli istinti svincolati e la vera libertà. Oggi la cosiddetta giovane generazione è molto più minacciata dal conformismo, da una testarda aspirazione di sicurezza, dalla sciatteria e dalla prontezza alla connivenza di quanto non lo sia dallo spettro del “soggettivismo estremo”, che il proclama scongiura minacciosamente: sarebbe piuttosto necessario educare i compositori a tutto ciò che esso combatte con tanto fervore. Ma il proclama sta dalla parte del più forte, e non fa che sfondare una porta aperta. Potrebbe benissimo entrare in un fronte popolare formato non solo dagli alfieri angosciati dalle idee e delle emozioni progressive, ma anche dalla borghesia filistea, che non crede ai propri occhi davanti a questo capovolgimento delle cose, oppure se la ride sotto i baffi. Il bonario ammonimento a evitare gli eccessi artistici, la ricomparsa dell’appello al sano sentire popolare, che sotto il fascismo esprimeva la volontà di coloro che hanno onnubilato i popoli, si risolve nella dimostrazione di una violenza la quale non tollera più nulla che già non porti il suo marchio: il popolo è oppio per il popolo.

Dissonanze, di Theodor W. Adorno (prima edizione tedesca “dissonanzen” del 1958)

questa parte l'ho presa dal capitolo "musica con le dande", che Adorno scrisse in riferimento al “secondo congresso internazionale dei compositori e dei musicologi”, organizzato a Praga dal Sindacato dei compositori cecoslovacchi. A.  dice inoltre: […] proprio perché come rappresentante della musica nuova ho dato rilievo con vigore alla sua inevitabile problematica sociale, mi sento obbligato ad oppormi all’abuso di simili motivi al servizio della reazione e dell’oppressione, anche quando sono mimetizzati con un vocabolario progressivo.
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2 risposte a Adorno, una parte di “dissonanze”

  1. nto scrive:

    grazie
    nel tuo blog non si possono lasciare commenti, dice che solo gli utenti di splinder possono farlo. mi interessava quella cosa sul jazz

  2. medo scrive:

    Sicuramente la critica di Adorno è qualcosa che va recuperato, oggi, addirittura dico che va portato al rango di strumento col quale dobbiamo opporci al popolo e ai suoi capricci più infimi.

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