ieri è scomparso Antonio Caronia. Ricordiamolo con questo articolo su James G. Ballard tratto da qui:
CON LA MORTE DI BALLARD FINISCE IL NOVECENTO
ieri è scomparso Antonio Caronia. Ricordiamolo con questo articolo su James G. Ballard tratto da qui:
CON LA MORTE DI BALLARD FINISCE IL NOVECENTO
la tecnica è sempre quella che utilizzano da più di cento anni. rubare agli anarchici, alla sinistra rivoluzionaria: rubare simboli, persone, slogan, creatività.
poi leggi di nazionalismo e della destra rivoluzionaria e capisci che sono i soliti fasci del terzo millennio convinti stupidamente che il futurismo sia roba loro; avevamo parlato di questo tempo fa qui
i ‘nuovi’ fasci hanno lanciato una rivista, che non vi linko ma che si chiama l’intellettuale dissidente. scrivono questo nel loro editoriale (guardate che giochi di parole da fasci…conosci il nemico, abbatti il fascismo!):
L’Intellettuale Dissidente è un punto di rottura con una classe dominante nazionale e soprannazionale complice di un sistema opprimente che ha abbandonato l’interesse generale come prima virtù della politica. Il nostro è un movimento trasversale, trans-ideologico; è un laboratorio d’idee che prova a riunire intorno a sé diverse scuole di pensiero intorno alla destra dei valori e alla sinistra del lavoro. Una sinistra patriottica, giustizialista, sindacalista e giuslavorista che affonda le sue radici nel passato e una destra morale, della resistenza, una destra “anti-capitalista” e sociale, tradizionalista e non reazionaria, che possa affermare un sistema di valori favorevole alla vita nazionale. Un movimento che nasce con un desiderio di riconciliazione nazionale contro i frazionismi passatisti e comunitari. Intorno all’unione del capitale e del lavoro contro le derive mercatiste e neoliberiste; intorno all’economia reale al servizio dell’uomo e del sociale contro la finanza apolide e artificiale; intorno all’Europa intesa come comunità di popoli e nazioni contro i speculatori e governanti non eletti; intorno alla libertà di espressione contro i dogmi parassitari del pensiero unico; intorno all’autodeterminazione dei popoli contro l’imperialismo, intorno alla propensione intrinseca dell’uomo verso il sacro e lo spirituale contro la società individualista, e consumista; intorno allo sviluppo reale contro il progresso inteso come forma di disumanizzazione della natura umana; intorno ad una “rivoluzione conservatrice” dei costumi e delle tradizioni contro il fenomeno cosmopolita del “cittadino del mondo”, vale a dire l’uomo-nomade che vive senza punti di riferimento, l’individuo standard e formattato, identico in ogni punto della Terra; intorno al concetto “nazionale” in quanto parametro culturale di riferimento, il quale non è l’unico possibile, ma risulta quello filosoficamente più accettabile. E quindi intorno alla sovranità nazionale – criterio necessario per salvaguardare la tutela dei cittadini-elettori ed il loro interesse generale – contro le sovrastrutture mondialiste. L’Intellettuale Dissidente è un’idea di giornalismo che lotta contro la disinformazione. È l’idea di un uomo che vive nel continuo superamento di sé stesso.
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dopo qualche mese faccio uscire questa cosa:
4 microfoni, un EQ e una chiesa, durante il festival f.a.c.k. di Cesena. l’ambiente risuona, respira; le frequenze vengono esaltate dall’EQ.
quello che ieri l’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) ha pubblicato su facebook:
L’UAAR è una associazione che si batte per i diritti della laicità nella società, ha promosso la campagna per lo sbattezzo ed un loro slogan è “liberi di non credere”.
Ecco, io voglio pure essere libero di curarmi con l’acqua fresca, voglio essere libero di non vaccinare i miei figli e curarli con l’omeopatia. Mi dispiace molto, da anni stimo questa associazione che spesso ha aiutato noi genitori laici a far valere i nostri diritti nelle scuole e infatti mi suona molto strana questa presa di posizione; forse dipende dal fatto che “razionalismo” significa un’unica e vera scienza e allora che dire: sarò pure ateo e anticlericale ma non razionale.
Renzo Arbore e l’orchestra italiana. Ovvero la realizzazione dello stereotipo spaghetti-pizza-mandolino con la R moscia
Umbria jazz, raccontano gli amici più anziani, era un grande campeggio gratuito dove potevi conoscere tantissima bella gente e magari, ascoltare per la prima volta del jazz di qualità.
Il festival funzionava e con gli anni il prezzo del biglietto cominciò a salire: ci furono poi i seminari, le master class, l’edizione invernale, le assurde borse di studio….si, quelle che vincevi un anno di corso alla Berklee di Boston ma poi dovevi avere i soldi per il viaggio, l’affitto, il cibo.
Umbria jazz è il festival per antonomasia, dove di certo potrai andare ad ascoltare i grandi nomi e sicuramente non ci sarà spazio per i nuovi progetti musicali, legati al jazz ma che il jazz ufficiale rifiuta.
Facciamo un passo indietro: negli anni settanta soprattutto, una certa avanguardia all’interno del movimento jazzistico era sostenuta anche dal pubblico; diciamo che era un buon periodo per “andare oltre”, anche la società guardava avanti. In questo mondo un grande compositore come Zappa poteva permettersi di non essere snobbato ed etichettato come un semplice chitarrista rockettaro.
Gli ottanta quindi furono una passeggiata, infatti musicisti come Frith o Zorn, per fare due nomi famosi, ebbero il successo meritato.
Il problema è che tutto si è fermato lì: gli ex giovani organizzatori dei festival, quelli che si vantano di essere amici stretti di Roscoe Mitchell o che hanno ospitato più volte nella loro casa al mare Carla Bley, non sono andati oltre. Hanno intascato il loro potere, si sono assicurati le amicizie politiche di una certa sinistra amante della cultura e per decenni hanno continuato ad organizzare i loro festival stantii. Si, perché Rava, Fresu, Marcotulli, De Vito, sono musicisti con cui io e tanti altri siamo cresciuti; io ho 34 anni e già quindici anni fa questi personaggi svolazzavano da un festival all’altro, alcuni di loro erano pure giovanissimi.
Massimo rispetto per i musicisti, del loro mestiere fa parte anche partecipare ai festival e in quelli con più soldi magari ti puoi permettere finalmente di presentare un tuo nuovo progetto. Però penso sia giusto chiedersi come mai i giovani talenti del jazz degli anni novanta non abbiano avuto il giusto ricambio?
Parliamo di gente che il jazz lo ha stravolto come giusto che sia, invece gli unici giovani che vedi sui palchi famosi dei festival sono quelli che somigliano a qualcuno di grande, sono un prodotto certo; magari gente con una grande tecnica ma tutto sommato mainstream. Conosco qualcuno della mia età che se lo rivendica di essere mainstream, convinto che il jazz sia quello, gente che parla male di chi sperimenta oggi con le solite stronzate sulla tecnica, accuse fatte già negli anni sessanta a Coleman.
Certamente oggi ci sono pochi musicisti che sperimentano linguaggi nuovi, magari di matrice jazz o jazzisti che suonano con gente proveniente da ambienti diversi come la contemporanea o il metal o il punk o l’arte sonora….ecco: questo oggi è jazz secondo me!
Il jazz oggi può fare pure a meno della sincope, di un ride di batteria. Viceversa il resto è karaoke, è piano bar e penso che finanziare un festival come Umbria jazz, un festival di piano bar, non ha senso.
Il presidente di Umbria jazz è Renzo Arbore, potremmo definirlo uno della “casta”, mi fa ridere, però è una definizione interessante. Umbria jazz è un festival fighetto, per l’ascoltatore impegnato, di cultura medio-alta, magari benestante e che fa la spesa al Naturasì.
Il jazz è rottura, il jazz non si sente a proprio agio davanti a questi intelletualicchi. Il jazz però non rottama (per usare un tema in voga), i musicisti storici come quelli di cui ho parlato sopra, sono un riferimento per tutti, il problema sono gli organizzatori, i vari Renzo Arbore e i soldi divisi tra i soliti quattro gatti.
Per quanto riguarda i fondi pubblici o i tagli alla cultura in generale, la mia generazione non li ha mai visti questi soldi. Io li ho visti invece in altri paesi, dove anche piccole associazioni presentavano la richiesta al ministero della cultura e veniva finanziato il loro progetto magari di una installazione sul cucuzzolo di una montagna con delle radio FM, un fucile, delle pecore e un compositore, il tutto in un progetto “site specific”. Questo prima della crisi però.
Napule nun addacagnà! Dal film “no grazie il caffè mi rende nervoso”, con un grande Lello Arena protagonista. Un film assolutamente da vedere…