Lavorare: quanta gente gode a parlare
di lavoro, quanta gente definisce una persona come seria perché
lavoratore, quanti mettono in primo piano il lavoro anche davanti ai
figli o al proprio amore? Per molti è la propria vita, il dimostrare
alla società che non si scherza, che non si ha tempo per fare
politica, cazzeggiare e oziare magari leggendo un libro sdraiati sul
divano.
Svariate volte ho provato a fare della
passione un lavoro, con un po’ di ingenuità, ottimismo, sogni e
poesia: è possibile…è possibile provarci per poi accorgersi che
non si può proprio fare. Certo, si può avere un lavoro
interessante, dei colleghi simpatici, questa è già una gran bella
botta di culo, ma trovare qualcuno che ti paga per le tue passioni,
senza compromessi no no, non si può.
Lavorare non è bello, soprattutto se
hai tanti interessi potresti farne a meno; ma se vieni da una
famiglia normale, se hai dei figli da campare, purtroppo ti tocca.
A questo punto entra in scena una
persona che crede nella libertà, diciamo un anarchico, come minimo
un libertario, uno di quelli che non si sente inferiore a nessuno.
Quando questa persona va a lavorare riconosce il capo come datore di
lavoro, cioè quello che paga e basta.
Il datore di lavoro può essere
classico o progressista. Quello classico è spesso religioso, una
specie di democristiano che veste classico e fa tutto classico; il
progressista vota l’estrema sinistra, ha dei gusti alternativi e ti
fa credere che ha bisogno dei tuoi consigli.
Il classico ti dice cosa devi fare e tu
lo fai, del tuo spirito libero è contento perché sa che dopotutto
sei una persona molto seria ed intelligente che tra l’altro non cerca
rogne e non ha manie arriviste, quindi non sparli con i colleghi e
cagate del genere.
Il progressista ti fa amico, gode delle
tue trovate geniali solo le prime settimane e poi inizia a diffidare
di te, quasi ad aver paura. Tu ti sentivi libero di fare e creare,
pensavi che un progressista potesse capire ed apprezzare la tua
ricerca di libertà, ma invece la tua autonomia fa paura al capo
intellettuale. Perché?
L’intellettuale progressista capo si è
costruito un castello, è pieno di certezze, ha dei riferimenti saldi
che vengono dai suoi percorsi universitari, dalle letture ribelli e
dal mondo alternativo. Lui si sente superiore come capo, illuminato
perché non è all’antica e perché la sua impresa è roba nuova,
sperimentale, roba d’avanguardia che la gente normale non può
capire. Il suo scopo è proprio questo: ridare alla gente normale la
cultura, portare argomenti contemporanei nelle campagne, tra la gente
normale…il classico discorso avanguardista di molti intellettuali
comunisti…
Il castello non si tocca, i tuoi
consigli iniziano a pesare e, anche se validi, si fa il contrario.
Vieni sempre più isolato, si ha paura a cacciarti subito, anche
perché è difficile trovare una motivazione valida. Possono passare
dei mesi, il capo non ti sorride già da tempo, è triste ed
incazzato, tu sai già che perderai il lavoro.
Finalmente il capo ha trovato una scusa
per cacciarti -sei troppo anarchico- ti dirà -fai di testa tua senza
consultarmi, non possiamo continuare così, sei uno spirito libero,
non puoi più lavorare qui-.
Ma vaffaculo…..
in conclusione, potremmo riassumere
tutto con una formula matematica tipo:
se il lavoro non è libertà ma
necessità : lo fai e basta = se nel lavoro cerchi di realizzarti :
lascia perdere, spendi la tua creatività altrove
Il tuo spirito libero darà fastidio al
tuo capo:
lavora classico, all’antica e lotta per
i tuoi diritti di lavoratore: il capo non è un tuo amico…