I festival Jazz, vecchi come il PD

Gli anni ’90 per il jazz, il nuovo jazz in italia sono stati fantastici. Sarà che c’erano più soldi per i festival, sarà che si pubblicavano i dischi, si facevano i concerti e i workshop, in modo che questi musicisti potessero campare.
Parliamo di grandi, solo per citare degli italiani, come: Maria Pia De Vito, Roberto Gatto, Bosso, Di Battista, Minafra, i famosissimi Fresu e Rava…una quantità di musicisti infinita.


Ieri leggo il classico ed estivo articolo su repubblica-l’espresso online sui festival jazz di quest’estate e mi girano un po’ le palle. Suona la stessa gente di 15, 20 anni fa.
La prima cosa che mi viene da pensare è, che come il PD, i personaggi del jazz sono sempre i soliti, di nuovi ce ne saranno 3 o 4.
Il motivo potrebbe essere perché organizzatori e direttori artistici sono di solito gente del PD, vicine a D’Alema, con più di quarant’anni e con vent’anni di esperienza nell’organizzazione di festival. More…Sono i detentori della cultura del centrosinistra, quelli che conoscono il vino, il buon cibo e le barche. Quelli col fascino dell’esotico, quelli che per organizzare un festival all’anno, prima della crisi, si mettevano puliti puliti in tasca minimo 30.000 euro.  

Dove sono i nuovi musicisti, quelli della nuova generazione, quelli che hanno circa trent’anni? Di suonare suonano, spesso gratis, in circuiti alternativi e molto piccoli; ma perché i grandi festival non li cagano?
Penso che il motivo principale sia l’evoluzione del genere, la differenza dell’improvvisazione e del jazz contemporaneo rispetto ai ’90. Sappiamo come questi del PD siano nostalgici. Inoltre sono anche pigri: hanno fatto la loro ricerca quindici anni fa, hanno conosciuto i musicisti migliori dell’epoca e adesso se ne sbattono le palle e fanno suonare sempre quelli.

Il jazz dei ’90 era forse più legato al tardo Bop come al Free, la base di Swing era comunque fondamentale e l’utilizzo di strumenti musicali e ritmi esotici riguardava sempre culture lontane, spesso africane o indiane.
Oggi l’improvvisazione, il nuovo jazz, ha un buon rapporto con l’hardcore e il metal come con la musica concreta e i suoni d’ambiente più in generale o le piccole realtà locali. Negli ultimi anni anche la musica elettronica si è rassegnata nel rendersi utile ai musicisti che magari manipolano il suono in tempo reale degli strumenti acustici.
Città come Napoli, Bologna, ma anche Roma o Catania pullulano di sperimentatori, di collettivi di musicisti con il difetto di essere troppo innovativi per i festival, oggi mainstream, degli amici di D’Alema.

Soluzioni? Io sono molto pessimista. Soprattutto perché nella maggior parte dei circuiti alternativi non sono interessati a questa nuova musica radicale. Questa nuova generazione di musicisti è destinata ad estinguersi in parte. Se queste persone non hanno soldi di famiglia, non hanno un lavoro sicuro e soprattutto se intendono mettersi a fare figli, avranno sempre meno tempo da dedicare alla musica, soprattutto quando devi mettere la benzina per andare a suonare a 200Km di distanza da casa tua.
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