la “pericolosità” dei blog di paese

Nel mio paesello d’origine ha da poco
aperto un blog, curato da parte dell’amministrazione comunale.
Ovviamente come il loro leader insegna, pensano che anche
dall’interno si possa fare dell’informazione seria ed obbiettiva.
Proprio per questo motivo scrivono male di “videocracy”, non
riescono a capire come il Silvio nazionale abbia influenzato i
costumi dell’italiano medio.

In questi piccolissimi blog di paese si
fa spesso il verso a Silvio, soprattutto con l’offensiva storia di
dare del comunista a chi non è d’accordo, come se tutti quelli che
odiano questo governo siano del PD o vadano a votare per questa
sinistra “rosella”.

Oggi leggo un trafiletto, un sorta di
recensione alla mostra del cinema di Venezia che si conclude
offendendo i Romeni ed affermando spudoratamente che la maggior parte
di loro preferisce al lavoro far prostituire le proprie donne, che
rubano e che fanno dormire come topi i bambini nelle fogne
.

Molto sinceramente, io non riuscirei a
confrontarmi verbalmente con chi ha scritto questo articolo. Me ne
fotto che sarebbe scorretto politicamente, ma come minimo, gli darei
due calci nel culo.

UPDATE: il film in questione è "Francesca", intanto sospeso per questi motivi

Vi lascio con l’intero articoletto
paesano e con l’augurio che questo signore vada a vivere all’estero e
tutti lo prendano per mafioso…da qui:

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Pubblicato in arte NO arte, meglio di no | 1 commento

L’onda (die welle): viva la semplicità

Anno: 2009
Regia: Dennis Gansel

L’onda è un film nuovo, appena uscito
in DVD e scaricabile tranquillamente tramite torrent. Di questo film
ho letto solamente recensioni negative, quasi tutte tese a condannare
il film per la troppa semplicità e per una storia che non centra il
bersaglio.

Io, invece, l’ho apprezzato molto.
Forse proprio per questa semplicità, per la fluidità della
narrazione. Non so, in Italia si pensa che un film dai temi
importanti debba essere per forza roba da intellettuali; questo film
può vederlo chiunque, senza annoiarsi. Lo si può vedere anche
stanchissimi e capire chiaramente tutto quello che succede.

Parla di un prof di liceo ex squatter a
Berlino, alle prese con una settimana tematica a scuola. Non gli
lasciano fare le lezioni sull’anarchia e gli toccherà di spiegare ai
propri allievi l’autocrazia.

Prima lezione, il prof inizia a
spiegare cosa è la dittatura, quando si accende un dibattito con gli
allievi convinti che in Germania sarebbe impossibile una nuova
dittatura proprio a causa degli insegnamenti del passato.

Da qui l’idea di ricreare un regime a
“scopo didattico” durante le lezioni: il prof diventa il
dittatore, tutti indosseranno camicia bianca e jeans, adotteranno un
saluto e molte altri “classici” della cultura totalitaria.

In pochissimo tempo tutti, allievi e
prof, si lasciano prendere la mano, si convincono della loro
posizione, si coalizzano anche all’esterno della scuola facendo
squadra. Il prof non si rende conto di essere ormai il capo supremo
dell’organizzazione e si spinge oltre, pompa i suoi allievi senza
accorgersi delle debolezze di qualcuno potenzialmente pericoloso.

La forza del film sta proprio nel
dimostrare come sia facile instaurare una dittatura partendo magari
dalle piccole incazzature quotidiane di ognuno, formando gruppo per
sconfiggere le proprie debolezze e lasciarsi totalmente andare al
comando di un duce. Questo messaggio nel film è chiarissimo, è un
film che potrebbe essere proiettato nelle scuole: non annoia, non
dura molto. Forse tanti potenziali fascistelli, chissà, potrebbero
seguire un’altra strada.

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Vino da taglio: legge di fine Ottocento

Mio zio mi raccontava spesso di come
alla fine degli anni ’40 e poi nei ’50, vagoni e vagoni di mosto
partissero dalla stazione di Donnafugata (RG) per andare al nord. Mi
spiegava poi che il nostro mosto veniva utilizzato per “tagliare”
il vino del nord di bassa gradazione alcolica e che in quel periodo
quello era il lavoro con cui tutti i contadini santacrocesi
campavano. Anche mio padre andava a vendemmiare da piccolissimo e
dopo la scuola. Credo che fosse un modo per far giocare i bambini,
toglierseli da torno e farli contribuire al reddito familiare.

Io, soprattutto negli anni ’90, prima
con la bicicletta, poi col motorino, ho esplorato spesso quelle zone.
Quella parte di territorio che si estende dal castello di
Donnafugata: contrada Salina fino ad arrivare quasi a Scoglitti,
contrada Piombo sino ad arrivare a Santa Croce Camerina. Dopo le
vigne iniziò la serricoltura, adesso addirittura c´è anche uno
squallidissimo campo da golf.

Ieri ci arrivano dei libri dall’Italia,
tra cui “vino al vino” di Mario Soldati. Un libro scritto in tre
fasi di viaggio per l’Italia alla scoperta di vino genuino, ho già
letto la prima parte “Sicilia-Campania-Toscana-Lombardia” e devo
dire che mi sta entusiasmando per la poesia e la naturalezza della
scrittura. Vorrei trovare i documentari di Soldati della RAI del ’57
e ’59, ma non esistono nemmeno nelle teche del sito RAI.

Ritorniamo alla scoperta, al vino da
taglio del sud Italia, scoperta appunto fatta leggendo “vino a
vino”. Dalla fine dell’Ottocento esiste in
Italia una legge che impone a chi commercia il vino, una gradazione
di almeno 10%. Molti vini del nord non arrivano a questa gradazione
ed è vietato aggiungere dello zucchero (in Francia non è vietato)
durante la fermentazione per aumentare la gradazione.

Pare che questa legge sia stata fatta
per fare arricchire i feudatari Siculi e Pugliesi, così da esportare
il mosto da taglio al nord. In questo modo la cultura del vino al sud
si è persa. Per avere una gradazione maggiore si raccoglievano le
uve in ritardo e quasi più nessuno vinificava vino di qualità.
Addirittura nel tempo, in questi luoghi, un vino veniva considerato
di “qualità” se aveva un’alta gradazione alcolica. A quanto pare
negli ultimi anni, grazie anche allo scandalo del metanolo di
vent’anni fa, esistono nuovi produttori e la qualità del vino ha
raggiunto alti livelli.

Vi lascio con la parte del libro di
Soldati che trascrivo per voi:

Castello di Donnafugata e vegetazione (foto presa da qui)

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L’intercambiabilità del cibo. La materia prima che non si evolve.

Premessa. Ho scritto
questo perché non sopporto la sedentarietà in genere, il
conformismo alimentare, le abitudini e la curiosità repressa. Se in
questo caso i Portoghesi vengono presi di mira, posso dire che questo
è l’unica cosa a non andarmi bene in questo paese. Di sicuro in
Italia si mangia meglio ma si vive peggio, molto peggio.

 

L’intercambiabilità del
cibo. La materia prima che non si evolve.

Spero di parlare per i
molti italiani che amano il cibo, per i molti italiani che mangiano
non solamente per nutrirsi, per i molti che anche all’estero sono
curiosi di sperimentare nuovi sapori anche al costo di
un’intossicazione.

Del Portogallo ricordavo
i caffè di Porto, quei baretti dove mangiavi crostacei; per essere
sincero, ricordavo più il cibo della Galizia qui a nord ed in
Spagna.

Un anno fa, appena
trasferito in Portogallo, mi assale la curiosità di mangiare tipico.
I primi ristoranti, le prime settimane e poi la delusione, la
stanchezza della monotonia in cucina, l’incazzatura di non vedere
sfruttare al meglio deliziose materie prime e limitarsi a tre,
quattro metodi di cottura.

Ci troviamo al nord del
Portogallo, precisamente a Viseu. Posso permettermi di parlare in
generale, di parlare dell’intero nord sino ad arrivare alla periferia
di Lisbona; per lavoro mi è capitato quest’estate di mangiare
spessissimo in decine di ristoranti sparsi in questo vasto
territorio.

In sintesi: materie prime
molto buone, poca fantasia nel cucinarle. Continua a leggere

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radio aporee, contributi di frontiera

altri due contributi di posti sperduti e di frontiera. chaves, città al nord del portogallo, città di confine. poi ci spostiamo nella zona di bragança, in un bel posto sperduto tra i monti, dove per colpa dei tornanti siamo arrivati con lo stomaco sottosopra: qui ascoltiamo il bobby solo di turno.

 

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