Vino da taglio: legge di fine Ottocento

Mio zio mi raccontava spesso di come
alla fine degli anni ’40 e poi nei ’50, vagoni e vagoni di mosto
partissero dalla stazione di Donnafugata (RG) per andare al nord. Mi
spiegava poi che il nostro mosto veniva utilizzato per “tagliare”
il vino del nord di bassa gradazione alcolica e che in quel periodo
quello era il lavoro con cui tutti i contadini santacrocesi
campavano. Anche mio padre andava a vendemmiare da piccolissimo e
dopo la scuola. Credo che fosse un modo per far giocare i bambini,
toglierseli da torno e farli contribuire al reddito familiare.

Io, soprattutto negli anni ’90, prima
con la bicicletta, poi col motorino, ho esplorato spesso quelle zone.
Quella parte di territorio che si estende dal castello di
Donnafugata: contrada Salina fino ad arrivare quasi a Scoglitti,
contrada Piombo sino ad arrivare a Santa Croce Camerina. Dopo le
vigne iniziò la serricoltura, adesso addirittura c´è anche uno
squallidissimo campo da golf.

Ieri ci arrivano dei libri dall’Italia,
tra cui “vino al vino” di Mario Soldati. Un libro scritto in tre
fasi di viaggio per l’Italia alla scoperta di vino genuino, ho già
letto la prima parte “Sicilia-Campania-Toscana-Lombardia” e devo
dire che mi sta entusiasmando per la poesia e la naturalezza della
scrittura. Vorrei trovare i documentari di Soldati della RAI del ’57
e ’59, ma non esistono nemmeno nelle teche del sito RAI.

Ritorniamo alla scoperta, al vino da
taglio del sud Italia, scoperta appunto fatta leggendo “vino a
vino”. Dalla fine dell’Ottocento esiste in
Italia una legge che impone a chi commercia il vino, una gradazione
di almeno 10%. Molti vini del nord non arrivano a questa gradazione
ed è vietato aggiungere dello zucchero (in Francia non è vietato)
durante la fermentazione per aumentare la gradazione.

Pare che questa legge sia stata fatta
per fare arricchire i feudatari Siculi e Pugliesi, così da esportare
il mosto da taglio al nord. In questo modo la cultura del vino al sud
si è persa. Per avere una gradazione maggiore si raccoglievano le
uve in ritardo e quasi più nessuno vinificava vino di qualità.
Addirittura nel tempo, in questi luoghi, un vino veniva considerato
di “qualità” se aveva un’alta gradazione alcolica. A quanto pare
negli ultimi anni, grazie anche allo scandalo del metanolo di
vent’anni fa, esistono nuovi produttori e la qualità del vino ha
raggiunto alti livelli.

Vi lascio con la parte del libro di
Soldati che trascrivo per voi:

Castello di Donnafugata e vegetazione (foto presa da qui)

(…) Bisogna sapere che, alla base di
tutta la produzione enologica italiana, esiste una disgraziata legge
della fine dell’Ottocento: legge che proibisce, sotto pene
severissime, di vinificare mediante l’aggiunta di qualsiasi quantità
di zucchero, e che, contemporaneamente, impone che il vino tocchi
almeno i dieci gradi di alcool. (…) molti vini della Val Padana,
delle Prealpi, dell’Appennino ligure, sono squisiti senza che
raggiungano i dieci gradi: specialmente quelli prodotti sul luogo e
consumati sul luogo e dalla gente del luogo: vini che non devono
necessariamente “viaggiare” e che, quindi, non hanno nessun
bisogno di un’alta percentuale di alcool per essere protetti da
fermentazioni secondarie sgradevoli. Tanto a lungo e con tanta
severità fu applicata la legge, che ancora oggi, in tutta Italia, è
diffusa la falsa credenza che l’aggiunta di zucchero durante la
vinificazione sia nociva alla salute, e che la legge abbia, appunto,
questo obbiettivo igienico: mentre l’aggiunta di zucchero è
assolutamente innocua, e la legislazione francese, così meticolosa
in questo campo, la permette
. Lo scopo della nostra legge era ben
altro: era, molto semplicemente ma non altrettanto esplicitamente,
quello di aiutare i baroni viticoltori dell’Italia meridionale, e in
particolar modo delle Puglie e di Sicilia, a vendere i loro mosti,
provenienti da terre bruciate dal sole e non irrigate: ricchi cioè
di zucchero generatore di alcool.

(…) Nacque il famoso “taglio”,
che tanta parte ha nella decadenza dei nostri vini e, soprattutto,
delle nostre capacità di gustare il vino
. Una vera rovina: sia
per i vini settentrionali e centrali, che nel taglio si alteravano:
sia per gli stessi vini meridionali che, fatalmente, cominciarono ad
essere conosciuti ai consumatori del Nord solo attraverso l’impiego
che se ne faceva nel taglio, mentre vinificati sui loro posti e con
uve vendemmiate non così tardi avevano tutt’altro sapore, erano
tutt’altra cosa: molto più secchi, gradevoli, leggeri. La tradizione
meridionale, infatti, voleva che le uve fossero raccolte non come
accadde dopo la promulgazione della legge, e cioè preoccupandosi
prima di tutto del raggiunto grado di dolcezza: ma vendemmiate prima,
a tempo giusto, quando non sono ancora così cariche di zucchero.
(…)

 

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