Questo è quello che sta succedendo a Giovanni Passanante, cuoco di mestiere e anarchico che il 17 novembre 1878 a Napoli, tentò di uccidere Umbero I di Savoia.
Passanante si avvicinò alla carrozza come per porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì il pugnale e vibrò un colpo in direzione del sovrano. Questi riuscì a deviare l'arma, rimanendo leggermente ferito a un braccio. L'attentatore venne afferrato dal primo ministro che ne ricavò una coltellata alla coscia destra.

Arrestato in flagranza, Passanante, che aveva concepito l'attentato ed agito da solo, fu brutalmente interrogato e torturato nel tentativo di fargli confessare un'inesistente congiura. Tutti i familiari dell'attentatore (la madre settantaseienne, 2 fratelli e 3 sorelle) vennero arrestati già il giorno dopo l'attentato e condotti nel manicomio criminale di Aversa dove rimasero fino alla morte. Solo il fratello Pasquale riuscì a fuggire.
Il consiglio comunale del paese natale del Passanante, Salvia, deliberò che il paese si chiamasse Savoia di Lucania, nome che porta ancor oggi. Parenti e omonimi del Passanante dovettero lasciare il Paese.
Passanante fu rinchiuso in una cella, priva di latrina, posta sotto il livello del mare, senza poter mai parlare con nessuno e vivendo in completo isolamento per anni tra i propri escrementi, caricato di diciotto chili di catene. Fu poi trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove morì.
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